Perché l’istruzione convenzionale non funziona?

Il dibattito sulla scuola italiana è sempre acceso

Dai programmi ministeriali antiquati alla mancanza di fondi, i miseri stipendi degli insegnanti, il sovraffollamento delle aule e la fatiscenza degli edifici scolastici. Ogni aspetto concreto e pragmatico dell'istituzione Scuola è al centro di discussioni perenni che non sembrano potersi risolvere, proprio perché la Scuola stessa non sembra evolversi.

Ma, al di sotto delle questioni organizzative e pratiche che evidenziano l'inadeguatezza della Scuola pubblica e la sua inefficacia nel preparare i cittadini di domani, c'è un problema fondamentale più profondo, un problema concettuale e strutturale che rende sostanzialmente impossibile sperare in un cambiamento risolutivo.

Per comprendere tale problema dobbiamo guardare alla realtà scolastica con uno sguardo critico, passando ai raggi x anche gli aspetti più fondamentali che siamo abituati a dare per scontati.

Partiamo dal chiederci quale sia, effettivamente, l'obiettivo della scuola pubblica italiana. Almeno in teoria l'obiettivo dovrebbe essere preparare i ragazzi alla vita nella società, dando loro gli strumenti per comprendere e affrontare dinamiche sociali complesse, come il mondo del lavoro, quello della formazione accademica, il velo del diritto che avvolge la nostra società e stabilisce i limiti entro cui possiamo muoverci, la struttura economica in cui siamo immersi e che determina le nostre possibilità. Il tutto attrezzati di capacità critiche e logiche, ed equipaggiati con sensibilità etica e una morale individuale e indipendente.

In sostanza l'obiettivo della scuola è creare esseri umani, che siano in grado di comprendere, apprezzare e contribuire ai vari aspetti della vita in società.

Può sembrare un obiettivo ambizioso? Potremmo pensare che serva una vita intera, la saggezza sviluppata con l'esperienza, per costruire tutto questo. È una sensazione basata sull'osservazione: soprattutto nel nostro paese tendiamo a dare molta importanza all'esperienza (spesso valutata in base all'età) e meno alla formazione. Ma cos'è questa? Una condizione innata dell'essere umano? Che apprende meglio dalla vita reale e dalle esperienze piutttosto che dalla teoria raccontata in un'aula buia? O è una conseguenza del nostro sistema scolastico? Che non prepara realmente i ragazzi alla vita, e quindi lascia all'esperienza l'arduo compito? Entrambe.

Il problema fondamentale della Scuola

È questa la ragione primaria per cui la Scuola non solo non funziona, ma non può proprio funzionare. Quando è intesa come un'entità a sé, come un'attività indipendente dal resto della società, che vive in un tempo e un luogo dedicato, separato da tutte le altre attività umane, la scuola può solo fallire. Proprio perché ignora una grande verità della natura umana: le esperienze formano molto più delle parole.

Questo non significa ovviamente che l'istruzione in sé non abbia un valore, assolutamente.

L'istruzione è un costrutto umano, nessun'altra specie dedica del tempo e delle risorse a formare i propri cuccioli, ma è solo tramite l'esperienza che apprendono, crescono e diventano adulti. E infatti nessun'altra specie ha mai raggiunto un livello cognitivo paragonabile al nostro. Questo proprio perché l'istruzione è l'atto di condensare informazioni e di assimilarle a un ritmo più veloce della vita stessa, è uno strumento rivoluzionario che permette di capire il mondo più in fretta di quanto non si potrebbe mai fare semplicemente vivendo e facendo esperienza. In 10 anni uno studente di medicina apprende nozioni e tecniche che l'umanità ha impiegato secoli per formalizzare e comprendere; un ingegnere passa da non saper risolvere un integrale al saper progettare apparecchiature complesse. E questo è possibile solo perché abbiamo selezionato e riordinato informazioni chiave e siamo stati capaci di trasmetterle con esempi efficaci e pratici. In sé, l'istruzione è un costrutto sociale incredibile ed è la più grande arma evolutiva (non tanto in senso biologico, ma sociale) che abbiamo a disposizione.

E allora dove stiamo sbagliando? Il problema sta nell'ignorare la necessità delle esperienze. Dobbiamo convincerci che sì, la teoria può condensare le informazioni e aiutarci a comprendere e formalizzare concetti complessi altrimenti impossibili da visualizzare, ma per ragioni biologiche ci sono comunque dei limiti oltre i quali diventa controproducente.

Immaginiamo i primi due anni di lavoro: tra interazioni coi colleghi, scadenze, processi, politiche interne e software nuovi, saranno due anni densi di novità e ci porteremo a casa moltissime esperienza di valore.

Ora immaginiamo i successivi dieci. La monotonia e la mancanza di stimoli nuovi hanno sicuramente ridotto il nostro tasso di crescita professionale, non impariamo più alla stessa velocità di prima, non tanto perché siamo invecchiati, ma più che altro perché l'ambiente è stantio e non ha troppo di nuovo da offrirci.

Pensiamo a una normale giornata scolastica, o un quadrimestre. Appena tornati dalle vacanze estive siamo freschi e un'intera giornata sui banchi è piena di novità, dalle incertezze e le ansie per l'anno nuovo, i nuovi argomenti, rivedere i compagni di classe... ma dopo due mesi, due mesi in cui per trenta ore a settimana non si fa altro che quello, ascoltare, stare fermi, stare seduti, sforzarsi di immaginare che tutto questo serva a qualcosa e trattenersi dal chiedere al professore un esempio dell'utilità pratica di questi argomenti... e la risposta sarà sempre generica, sempre lontana, perché concettualmente sì, è vero, saper risolvere una disequazione di primo grado può essere utile in molti contesti, ma i professori di lavoro insegnano e basta, quindi tendenzialmente ti diranno che serve a risolvere quelle di secondo grado. E quel bisogno di realtà, di una prova fisica e concreta della necessità dell'istruzione che tutti gli studenti sentono nell'animo, non viene mai soddisfatto.

Dovremmo fare come le antilopi?

Un cucciolo di antilope cammina dopo pochi minuti dal parto, corre dopo poche ore, starà al fianco della madre per tutta la sua giovinezza e imparerà a scappare dai leoni, a prestare attenzione agli alligatori quando beve alla pozza, tutto grazie all'esperienza.

Se la società umana fosse così semplice (nascere, correre, riprodursi e morire; letteralmente) potrebbe anche funzionare, ma i costrutti sociali umani sono troppo complessi per impararli vivendo (pensiamo a un avvocato che scopre le leggi solamente perdendo cause). Il nostro gioco è troppo complesso per imparare le regole solo giocando, abbiamo bisogno di sederci un attimo fuori dal campo e studiare il regolamento. Ma sedersi 18 anni fuori dal campo, testa bassa sul manuale, senza mai guardare gli altri giocare, è davvero utile?

Bisogna ripensare la scuola accettando il bisogno umano di fare esperienza, di osservare e partecipare in prima persona, lasciando ai ragazzi la possibilità di affascinarsi e di viaggiare con l'immaginazione e la creatività.

Una normale giornata scolastica ha bisogno di un'iniezione di vita reale: visitare uno studio di architettura, chiacchierare con un medico, affiancare degli studenti di ingegneria nella realizzazione di un progetto, confrontare il retrobottega di una panetteria con i nastri trasportatori di una fabbrica di pane in cassetta, partecipare a una manifestazione per i diritti umani o per quelli del pianeta; osservare il mondo, la società, e poi analizzarla, sì dal punto di vista teorico, ma con un'occhio sulla concretezza della vita. Studiare chimica diventa molto più interessante dopo aver visto un lago invaso da alge infestanti a causa degli scarichi di sostanze eutroficanti nelle sue acque; leggere Pasolini ha un senso dopo aver fatto una giornata di volontariato e aver percepito da durezza della povertà. E tutto questo non può essere una gita all'anno, ma deve essere parte integrante della didattica di tutti i giorni.

Ma non basta aggiornare la didattica

Il problema della Scuola è sociale. È dato dalla suddivisione tra il tempo dello studio e quello del lavoro, in una società in cui ci si “prepara” fino a che non ci si ritiene pronti, e poi si viene gettati in un mondo completamente diverso, in cui la formazione continua è riservata a pochi contesti, come quello delle professioni sanitarie.

Stravolgere questo paradigma è necessario e possiamo immaginare non una scuola in cui si fa tirocinio e un lavoro in cui si fa un corso di aggiornamento, ma un monod di istruzione e lavoro mescolati e che si interfacciano continuamente, come è normale che sia; cominciando a costruirsi l’esperienza parallelamente alla sua formalizzazione toeorica, allo studio dei concetti che vi stanno dietro, e fermandosi un attimo (e non mezza vita) ogni volta che serve un pezzo di teoria in più. In un contesto in cui la figura del manager e quella dell’insegnante sfumano l’una nell’altra e la crescita lavorativa e personale vanno davvero nella stessa direzione, senza compromettersi vicendevolmente.

Siamo ben lontani da questo mondo, ma possiamo iniziare a costruire un futuro in cui fare domande e non sapere è normale, in cui un lavoratore, un medico, un politico, non sentano il bisogno di avere una risposta pronta ad ogni momento, al punto da sacrificare l’accuratezza per mantenere integra l’immagine. Un mondo in cui la formazione è realmente un percorso continuo e in cui smussiamo le barriere che delimitano i diversi momenti della vita.

Cominciamo a costruirlo.

C’è ancora molto di cui parlare

In questo articolo abbiamo affrontato un problema concettuale alla base del fallimento dell'istituzione Scuola, ma è solo uno di molti. Pensiamo all'incoerenza di voler formare i cittadini di un mondo che ancora non esiste, e il farlo approfondendo verticalmente materie singole come storia, matematica, fisica; invece che attraversarle trasversalmente studiando non materie pure, ma idee, concetti. Perché studiare storia se non con un fine morale? Proviamo a studiare la morale invece, e lo faremo attingendo sì alla storia, ma anche alla biologia, alla religione, alla psicologia... non per il nozionismo fine a sè stesso, ma come materiali per supportare la costruzione di un pensiero.

La scuola di oggi è come un allenatore che deve prepararti a giocare una partita senza sapere di quale sport. E invece di concentrarsi su capacità comuni a tutti gli sport, come l'equilibrio, la resistenza, la forza o i riflessi, ti insegna le regole della pallavolo, i nomi delle squadre di calcio, la storia del tennis...

Nel nostro blog approfondiamo molti altri temi legati alla scuola, ma anche alla tecnologia, al digitale, all'intelligenza artificiale e molto altro. L'approccio critico con cui analizziamo questi temi è lo stesso con cui abbiamo strutturato i nostri corsi: non affrontiamo gli argomenti come fossero mallopponi di teoria, ma sempre con una forte attenzione al pratico e al divertimento, per rendere i corsi interessanti e stimolanti.

Nei nostri corsi di coding, ad esempio, completiamo un piccolo progetto ogni lezione, costruendo un videogioco con cui i ragazzi possono giocare. Già dall'inizio della lezione hanno chiaro l'obiettivo, sanno perché c'è bisogno di ogni piccolo pezzo di teoria e capiscono dove vogliono arrivare, hanno uno stimolo per imparare.

Se vuoi saperne di più su questo metodo di insegnamento e sui nostri corsi puoi lasciarci i tuoi contatti e saremo noi a chiamarti per una chiacchierata senza impegno.

Scopri i corsi di coding Qubyt e inizia oggi il viaggio di tuo figlio nel mondo digitale del futuro →

Questo articolo è stato prodotto da Qubyt, leader nell'educazione digitale per bambini e ragazzi. I nostri corsi combinano divertimento e apprendimento, guidando i giovani studenti alla scoperta delle loro potenzialità attraverso la tecnologia.